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Screening del Tumore al Colon, quando il telefono aiuta
Gli avvisi via telefono aumentano l'adesione allo screening per il tumore del colon Scritto da: Staff Medelit Si segnala uno studio effettuato negli Stati Uniti, tra cittadini di Washington e dell'Oregon riguardante soggetti a rischio di sviluppo di Tumore al Colon, dove la prevenzione e la diagnosi precoce giocano un ruolo decisamente importante. Lo studio ha coinvolto circa 6000 pazienti, metà di loro è stato contattato telefonicamente tramite avvisi telefonici circa l'importanza di effettuare gli esami di screening per il tumore al colon, agli stessi è stato offerto un kit per effettuare direttamente a casa il test per la ricerca del sangue occulto fecale. La differenza in termini di adesione alla campagna di prevenzione è stata rispettivamente del 22.5% per i soggetti avvisati telefonicamente, del 16% per i pazienti non avvisati telefonicamente. Lo studio, mette in risalto anche i numeri del tumore al colon negli Stati Uniti dove, più di 52.000 persone perdono la vita a causa del tumore al colon, questo fa di questa patologia la seconda causa di morte da tumore nel paese. Il responsabile della task force del servizio di medicina preventiva statunitense, ribadisce l'importanza di iniziare i test di screening all'età di 50 anni, mentre per i soggetti ad alto rischio sarebbe meglio iniziare in più giovane età. Per sapere se si appartiene ad una categoria a rischio sviluppo di cancro al colon parlate con il vostro Medico di Medicina Generale o contattate un Medico Oncologo, sicuramente saprà dare risposta a tutte le vostre domande o i vostri dubbi. Anche in caso di diagnosi già effettuata, possono rimanere dubbi od incertezze, anche in questo caso una visita Specialistica Oncologica di "second opinion" può chiarire eventuali dubbi residui. Sempre una volta effettuata la diagnosi di tumore, una volta impostata la terapia, è necessario monitorare nel tempo l'andamento della patologia, anche in questo caso possono essere richeste le visite di monitoraggio dell'oncologo direttamente al proprio domicilio. Tra gli aspetti più devastanti della patologia tumorale va segnalato sicuramente il forte impatto sul lato psicologico, sia per il paziente sia per gli stessi famigliari, in questi casi è indubbiamente utile un supporto specifico da intendersi sotto forma di assistenza psicologica al malato oncologico ed agli stessi famigliari. Tra i metodi di screening ad oggi utilizzati abbiamo la colonscopia, la sigmoidoscopia e l'esame per la ricerca di sangue occulto fecale.
Coliche Neonatali: Cosa sono e come affrontarle
Coliche Neonatali: Cosa sono e come affrontarle Anche se quando si parla di coliche neonatali si pensa sempre ad un problema di aria nel pancino, in realtà oggi il termine “colica” viene usato per descrivere tutti quei casi in cui il neonato piange in modo inconsolabile più o meno sempre negli stessi orari di tutti i giorni. La definizione più comune di colica è: pianto inconsolabile per 3 o più ore al giorno per almeno 3 giorni la settimana e per più di tre settimane in un neonato altrimenti sano e ben nutrito. La colica può diventare un serio motivo di stress sia per voi che per il vostro bambini, ma consolatevi perchè generalmente ha vita breve! Nell’arco di qualche settimana o mese le coliche finiscono e avrete superato la prima vera difficoltà di neogenitori. Lamenti e pianti sono normali nei neonati ed un neonato “piagnucolone” non necessariamente è affetto da coliche. Se il neonato è ben nutrito e sano, i segni di colica possono includere: Crisi di pianto ripetute e prevedibili. Nelle coliche neonatali, le crisi di pianto si presentanto intorno allo stesso orario tutti i giorni, generalmente verso pomeriggio-sera. Possono durare da qualche minuto a più di tre ore. Il pianto inzia generalmente in modo repentino e senza motivo apparente. Verso la fine della colica il bambino potrebbe scaricarsi o avere un passaggio di gas. Pianto incontrollabile ed inconsolabile. Il pianto da colica è intense e generalmente acuto. Il neonato potrebbe diventare rosso in viso e può diventare estremamente difficile se non impossibile calmarlo. Cambiamenti di postura: spesso il bambino in preda ad una colica tenderà a ripiegare le gambe verso il tronco, a stringere le mani a pugno e a tendere i muscoli addominali. Circa il 25% dei neonati viene colpito da coliche neonatal. Queste si presentano generalmente poche settimane dopo la nascita e tendono a regredire dopo il terzo mese di età ed anche se in alcuni casi possono persistere più a lungo, nel 90 % dei casi le coliche spariscono entro i 9 mesi di vita al massimo. Quando rivolgersi al medico: Se avete il sospetto che il pianto sia dovuto ad una caduta, malattia o lesione. Se il pianto si associa anche a dei cambiamenti nelle abitudini alimentari, nel comportamento o nel ritmo sonno-veglia del vostro bambino. Cause delle coliche neonatali: Le cause della colica neonatale sono sconosciute. I ricercatori hanno esplorato numerose possibilità, incluse le allergie, intolleranza al lattosio, immaturità del sistema digestivo neonatale, ansietà materna ed il modo in cui il neonato viene nutrito e confortato. Tuttavia è ancora un mistero come mai alcuni neonati soffrano di coliche ed altri no. Fattori di rischio: Sono state avanzate moltissime teorie sui fattori di rischio per le coliche neonatali, ma la sola per la quale si abbiano dei dati più certi è che il fumo materno durante la gravidanza ed allattamento sono associati ad un maggiore rischio per il neonato di sviluppare le coliche. False restano invece le idee che le coliche siano più frequenti nei primogeniti o nei bambini allattati artificialmente. D’altra parte anche il sesso dei neonato e la dieta materna non sembrano influenzare l’instaurarsi delle coliche. Complicanze: Le uniche complicanze che possono derivare dalle coliche neonatali riguardano il già delicato equilibrio famigliare nei primi mesi dopo la nascita. Le coliche possono infatti creare grande frustrazione nei genitori che possono presentare più frequentemente episodi di depressione o più raramente anche segni di aggressività nei confronti del neonato. In questi casi è sicuramente una buona idea richiedere aiuto. Cosa fare: Per prima cosa è bene capire quali siano gli schemi di pianto presentati dal vostro bambino: quando e quanto spesso avvengono? Quanto durano? Il bambino ha dei comportamenti particolari prima, durante o dopo la colica? Tenete traccia dei metodi che avete provato ad utilizzare per tranquillizzare il bambino ed i risultati ottenuti. Osservate gli orari dei pasti e le abitudini alimentari del vostro bambino, oltre che l’andamento del peso. Con queste informazioni in mano potrete riveolgervi al pediatra per meglio comprendere se vostro figlio soffra effettivamente di coliche neonatali. Il medico potrà visitare il neonato per escludere altre possibili cause di malessere. Nel caso in cui vi sia effettivamente il sospetto di coliche neonatali potrete chiedere al medico cosa aspettarvi, come gestirle e che soluzioni adottare. Trattamento delle coliche: Non esiste trattamento che elimini le coliche neonatali. Le coliche regrediscono da sole generalmente non oltre il terzo mese di vita. La maggior parte delle persone che vi circondano vi riferirà che “dopo uno svariato numero di tentativi con gli intrugli più strani” è riuscita a risolvere le coliche neonatali con qualche “magica terapia”. Tenete in considerazione che nella quasi totalità dei casi i genitori passano settimane a tentare con diverse terapie ed il problema molto probabilmente si è risolto non per l’efficacia della “cura” magica tentata per ultima ma perché con il passare del tempo le coliche si sono risolte da sole! I farmaci disponibili sul mercato non hanno efficacia provata ed alcuni hanno effetti collaterali piuttosto importanti. Alcune ricerche hanno ultimamente suggerito l’efficacia di trattamenti a base di probiotici, che aiuterebbero a mentenere una flora batterica intestinale equilibrata. Tuttavia sono indispensabili maggiori ricerche per determinarne la reale utilità. In qualsiasi caso è meglio interpellare il medico prima di tentare con qualsiasi terapia farmacologica. Anche se non si possono eliminare, ogni genitore trova un suo modo di affrontare le coliche del proprio bambino e dei metodi utili nel gestirle. Cercate di non disperare e di non perdere la pazienza. Se arrivate al limite di sopportazione cercate di farvi dare il cambio da qualcun altro e di prendervi qualche momento per recuperare la calma. Ricordate che le coliche generalmente regrediscono entro i 3-4 mesi di vita e molto spesso questo avviene anora prima. Consigli utili per affrontare le coliche: Controllare che non ci siano altri motivi di sconforto per neonato (fame/pannolino sporco o altro). Creare un’atmosfera rilassata. Se siete stressati ed ansiosi il vostro bambino lo percepirà. Se stress e/o depressione diventano un problema rivolgetevi ad uno psicologo o ad un medico. Confortate il bambino e tenetelo in braccio o in una fascia portabebè. A volte è utile tenere il bambino in braccio ma tenete presente che spesso questo non è sufficiente a calmare il pianto. Se superate i limiti di pazienza piuttosto, dopo essersi accertati che non ci siano altri motivi di pianto, è meglio lasciare il bambino nella sua culla ed allontanarsi per una decina di minuti in modo da avere il tempo di calmarsi. Mai scuotere il neonato. Allattate il bambino. Se pensate che abbia fame, provate ad attaccare il bambino al seno, mantenendolo in una posizione piuttosto verticale ed aiutandolo a fare il ruttino spesso. Può essere utile svuotare un seno completamente prima di passare all’altro visto che l’ultimo latte a fuoriuscire è più nutriente e ricco rispetto al primo. Provate a dargli il ciuccio. Per molti neonati ha un effetto tranquillizzante. Tenete il bambino in movimento. Provate a tenere il bambino a pancia in giù sulle ginocchia, ondeggiandole lentamente oppure provate a passeggiare con il bambino in braccio o a metterlo in un dondolo. Provate con la musica. Cantare una ninna nanna può servire anche a voi per mantenere la calma. Aumentate il rumore di fondo. Alcuni bambini piangono di meno quando sentono rumore di fondo. Provate ad emettere un continuo “shhhh” mentre camminate con lui o mettete della musica rilassante di fondo o accendete qualche utensile che faccia un rumore ripetitivo e ritmico. L’importante è che siano rumori rilassanti. Provate con un bagnetto caldo ed un massaggio soprattutto sulla pancia. Se allattate al seno provate a cambiare dieta. Non ci sono prove scientifiche certe, ma potrebbe essere utile elimiinare latticini, agrumi, cibi piccanti o contenenti caffeina. Se usate un biberon provate a cambiare tipo di bottiglia/tettarella. Time-out. Amici, famigliari, vicini di casa sono spesso disponibili ad aiutare. L’importante è che si tratti di una persona tranquilla e possibilmente che ne intervenga una alla volta così da non creare troppo “movimento” attorno al bambino. Se riuscite a farvi dare il cambio da qualcuno di fidato per qualche ora vi potrà sicuramente fare del bene. Anche per le mamme che allattano in caso di necessità può essere utile raccogliere il latte e lasciare il bambino al papà per la notte così da riuscire a dormire qualche ora in più e recuperare l’energia. Medicina Alternativa: Alcuni dei rimedi alternativi riportati dai genitori (tuttavia non supportati da evidenze scientifiche) sono: Tisane e rimedi vari a base di erbe (es. semi di finocchio) Assunzione di glucosio Massaggio neonatale Osteopatia neonatale Alcune forme di terapia alternative possono anche essere pericolose ed interferire con l’allattamento quindi comunque è meglio chiedere consiglio al medico prima di provarle. Importante è ricordare che le coliche passano e che bisogna di mantenere la calma. Se ritenete di essere al limite di sopportazione rivolgetevi ad aiuto medico o psicologico, ricordandovi che anche per le persone più forti e pazienti le coliche neonatali possono diventare una seria prova
Scompenso Cardiaco:e se mi Curassi a Casa?
Scompenso Cardiaco: L’Assistenza Domiciliare si prospetta come valida alternativa all’Ospedale L’insufficienza cardiaca cronica è una sindrome progressiva e debilitante che affligge quasi 13 milioni di persone solo tra Europa e Stati Uniti. I ricoveri associati ad insufficienza cardiaca sono in continuo e progressivo aumento e si attestano oggi intorno al 2-3% delle persone di età superiore agli 85 anni. Negli Stati Uniti lo scompenso cardiaco porta al ricovero di più di 1 milione di persone all’anno e ad un rischio del 50% di un secondo ricovero entro i 6 mesi dalla dimissione. Anche se l’ambiente ospedaliero è lo standard per le cure mediche in casi acuti, rappresenta anche un ambiente di rischio per le persone anziane che vengono comunemente esposte a patologie iatrogene e nosocomiali (cioè associate al trattamento o all’ambiente di ricovero), declino funzionale ed altri eventi avversi. Secondo un articolo pubblicato sulla rivista Archives of Internal Medicine, le cure domiciliari e l’ospedalizzazione a casa potrebbero rappresentare una pratica alternativa al ricovero ospedaliero per i pazienti con scompenso cardiaco acuto. Il gruppo di studio dell’Ospedale San Giovanni Battista, Università di Torino, ha infatti messo a confronto, in uno studio randomizzato, l’efficacia dell’assistenza domiciliare integrata con il tradizionale ricovero ospedialiero per pazienti affetti da scompenso cardiaco acuto. I pazienti scompensati di età superiore ai 75 anni sono stati assegnati in modo randomizzato al ricovero ospedaliero (53 pazienti) oppure all’ospedalizzazione a domicilio (48 pazienti) tramite servizio di geriatria domiciliare organizzato dall’ospedale e che prevedeva trattamenti e servizi di diagnostica direttamente a domicilio. A 6 mesi di distanza non sono riscontrate differenze in termini di mortalità (15% in totale) e successivi ricoveri tra i due gruppi di pazienti. Solo i pazienti del gruppo sottoposto ad ospedalizzazione domiciliare hanno tuttavia mostrato miglioramenti in termini di depressione, stato nutrizionale e qualità di vita. Lo studio ha inoltre riportato risultati sorprendenti nel confronto tra le due modalità di assistenza dei pazienti in termini di costi a carico del sistema sanitario nazionale: la spesa per paziente, per giorno in caso di ospedalizzazione domiciliare è stata calcolata di circa 160 Euro mentre il costo medio giornaliero di una degenza ospedaliera in reparto di area medica viene calcolato intorno ai 550-660 Euro. Le differenze sono da riferirsi all’assenza di spese generali (manutenzione, elettricità, riscaldamento, inservienti, ecc) e non a un minor impegno di risorse umane che anzi nel caso della domiciliarità sono dedicate ai pazienti con un rapporto numerico a netto vantaggio del paziente. Gli autori concludono sottolineando la presenza di un trend nei sistemi di assistenza sanitaria a favore della domiciliarità. Questi trend sono ulteriormente supportati dall’avanzamento di teletecnologie (trasmissione a distanza di elettrocardiogrammi, spirometrie, saturazione d’ossigeno, ecc) e dall’aumento delle richieste di assistenza a casa. Lo sviluppo dell’assistenza domiciliare necessiterà di ulteriori studi e risorse dedicate e realmente integrate.
Iniezioni Fai da Te: Quando Chiamare il Medico
Iniezioni fai-da-te: quando chiamare il medico Le iniezioni intramuscolo di farmaci prescritti dal medico non sono molto complesse da eseguire e possono essere praticate anche da un conoscente o famigliare a cui sia stata insegnata la corretta procedura da parte di personale sanitario qualificato, come ad esempio un infermiere o medico. Tuttavia anche con questa semplice procedura possono insorgere delle complicazioni ed è quindi utile sapere in che casi è utile chiamare un medico. Arrossamento persistente della zona circostante l’iniezione Potrebbe comparire un arrossamento nella zona circostante l’iniezione. Quest arrossamento scompare generalmente dopo qualche minuto. Tuttavia, se dovesse persistere oppure presentarsi in concomitanza ad uno dei segni elencati di seguito, è meglio rivolgersi ad un medico. Bruciore nel sito d’iniezione Questo può essere associato al farmaco ma dovrebbe comunque essere temporaneo. In caso di persistenza della sensazione di bruciore conviene riferire il disturbo al proprio medico curante. Gonfiore o Area di indurimento sottostante la cute L’area di gonfiore può avere consistenza spugnosa o essere molto dura. In caso di dubbio può essere molto utile disegnare i contorni dell’area di rigonfiamento in modo da monitorarne i cambuiamenti nel tempo. L'allargamento dell’area interessata dal rigonfiamento o la sua persistenza con il passare di qualche ora sono sicuramente motivo di valutazione medica. Trasudazione dalla zona di iniezione La fuoriuscita di liquidi dalla zona d’iniezione è normale nell’immediato ed è dovuta semplicemente alla “perdita” di farmaco attraverso la traccia lasciata dall’ago. Tuttavia, la presenza di qualsiasi trasudato non trasparente e non inodore potrebbe indicare il sopraggiungere di un’infezione. In questo caso il medico va chiamato inmmediatamente. Febbre (superiore ai 38°C) La presenza di febbre sopra ai 38°C in assenza di sintomi da influenza andrebbe sempre riportata al medico. La presenza di febbre può indicare un’infezione e va quindi valutata, soprattutto in presenza di altri segni qui riportati. Dolore forte e Persistente L’iniezione si associa inevitabilmente ad un po’ di dolore dovuto alla puntura della cute ed all’introduzione del farmaco. Tuttavia il sintomo va riferito al medico nel caso in cui il dolore dovessere persistere o essere particolarmente forte.
Riabilitazione Cardiologica: Meglio a Domicilio
Riabilitazione Cardiologica: meglio a casa propria Un’analisi combinata pubblicata sul British Medical Journal da un team di ricercatori americani, inglesi e polacchi ha recentemente raccolto i dati riportati da ben 12 studi clinici riguardanti la riabilitazione cardiologica svolta a domicilio del paziente ed ha evidenziato che non ci sono differenze in termini di risultati ottenuti rispetto alla riabilitazione svolta presso strutture di ricovero. Lo studio comprendeva l’analisi dei dati raccolti da 1938 pazienti provenienti da diverse nazioni (UK, USA, Canada, Italia, China, Turchia ed Iran). Nel confronto tra pazienti sottoposti a riabilitazione cardiologica domiciliare ed ospedaliera, non sono state rilevate differenze in termini di mortalità, patologie cardiache, capacità motorie, presenza di fattori di rischio modificabili (fumo, ipertensione, colesterolemia) e qualità di vita negli individui a basso rischio di ulteriori episodi di infarto miocardico e rivascolarizzazione. I dati hanno inoltre evidenziato che i pazienti sottoposti ad assistenza riabilitativa direttamente a casa avevano maggiori probabilità di attenersi al programma riabilitativo. Questo dato è risultato particolarmente interessante visto che una delle maggiori problematiche della riabilitazione cardiaca sta proprio nella scarsa partecipazione dei pazienti ai programmi forniti presso strutture esterne come ospedali o palestre. Il gruppo di ricerca ha evidenziato diversi motivi per i quali i pazienti tendevano ad abbandonare la riabilitazione organizzata presso centri esterni tra cui problemi di limitazioni in accessibilità e parcheggio, impegni famigliari e scarsa tolleranza all’attività di gruppo. Questi problemi vengono superati grazie ai programmi di assistenza domiciliare e a costi sovrapponibili (per il sistema sanitario) a quelli dei servizi sanitari presso strutture esterne. Le linee guida raccomandano l’attuazione di una riabilitazione cardiologica dopo infarto cardiaco o intervento di bypass coronarico così da promuovere il recupero e prevenire ulteriori eventi cardiaci avversi. E’ stato infatti dimostrato che la riabilitazione può migliorare le condizioni fisiche e ridurre di conseguenza la morbidità e mortalità associate alle cardiopatie e coronaropatie. I programmi di riabilitazione cardiaca comprendono generalmente l’esercizio fisico, l’educazione comportamentale, il counselling e tutte le forme di supporto e le strategie mirate a ridurre i fattori di rischio per le patologie coronariche. Purtroppo in Gran Bretagna meno del 40% dei pazienti che sopravvivono ad un attacco cardiaco si sottopongono alla riabilitazione cardiaca. Questa ricerca conferma quanto già rilevato da altri studi e cioè che la riabilitazione cardiaca domiciliare è efficace quanto quella svolta presso strutture sanitarie esterne in termini di sopravvivenza dei pazienti. La decisione rispetto allo svolgimento della riabilitazione a casa o presso una struttura esterna dovrebbe essere presa in base alle singole esigenze così da aumentare più possibile le probabilità di partecipazione del paziente.
Cataratta e farmaci contro il colesterolo
I Comuni Farmaci Contro Il Colesterolo Combattono Anche La Cataratta Scritto da: Staff Medelit Le statine, gruppo di farmaci comunemente usato per abbassare i livelli di colesterolo vengono utilizzati da anni per prevenire le cardiopatie. Uno studio recentemente svolto dall’Università di Tel Aviv ha evidenziato che questi farmaci sono in grado di ridurre del 40% i rischi di cataratta negli uomini. La cataratta è una progressiva perdita di trasparenza che coinvolge il corpo cristallino dell’occhio e porta a una progressiva riduzione della vista. Il processo è legato a fenomeni di ossidazione delle proteine che costituiscono questa parte dell’occhio. La patologia è tipicamente a lenta progressione e coinvolge le persone anziane (che già per altri motivi subiscono spesso una riduzione della vista) così spesso il paziente non si rende neanche conto del problema. Circa il 60% delle persone di età superiore ai 60 anni presenta la cataratta. Anche se in campo medico gli esperti sanno da diverso tempo che le statine sembrerebbero avere un qualche effetto protettivo nei confronti della cataratta, questo studio, condotto dal Dott. Gabriel Chodick dell’Università di Tel Aviv e recentemente pubblicato sulla rivista Annals of Epidemiology, è il primo a dimostrare i risultati su di una popolazione così ampia: 180,000 pazienti coinvolti tra il 1998 ed il 2007. Sembra che le statine, con il loro effetto anti-infiammatorio, siano in grado di proteggere l’occhio e le sue terminazioni nervose dai danni da ossidazione. Lo studio ha evidenziato una riduzione rispettivamente del 38% e del 18% nel rischio di sviluppare la cataratta negli uomini e nelle donne tra i 45 ed i 54 anni sottoposti a terapia giornaliera con le statine. Il Dott. Chodick ha eseguito numerosi studi sugli effetti benefici delle statine negli ultimi anni. Uno dei suoi studi più recenti, pubblicato sul giornale Times ha riportato una riduzione del rischio di morte da patologie concomitanti di circa il 40%. Per questo motivo il suo gruppo di studio, ritenendo che gli effetti delle statine non si fermassero alla sola prevenzione delle patologie cardiovascolari, ha iniziato a valutare gli altri effetti di questa classe di farmaci. Il Dott. Chodik ritiene che, preso atto dei risultati dello studio, nei pazienti di età superiore ai 75 anni, l’uso quotidiano delle statine assuma un ruolo significativamente protettivo nei confronti della cataratta. Anche se il dato è estremamente interessante occorreranno ulteriori studi per stabilire se sia il caso di prescrivere questi farmaci per la sola prevenzione della cataratta, anche in pazienti non a rischio cardiopatico.
Botulino: ne basta poco per ridurre le rughe
BOTULINO: NE BASTA POCO PER RIDURRE LE RUGHE Scritto da: Staff Medelit Secondo uno studio dell’Università dell’Oregon, nei pazienti sottoposti ripetutamente al trattamento anti-rughe con botulino dopo due anni di trattamento è possibile ridurre la frequenza (e quindi i costi) dei trattamenti ottenendo la stessa efficacia in termini di effetti estetici. La ricerca, eseguita dal Prof. Dailey, chirurgo plastico della Facoltà di Medicina dell’Università dell’Oregon, ha evidenziato che dopo due anni di trattamenti svolti agli intervalli raccomandato, i pazienti potrebbero potenzialmente raddoppiare gli intervalli di tempo tra un trattamento e l’altro senza modificare l’effetto anti-rughe ottenuto. Il Botox avrebbe infatti anche un effetto di prevenzione della formazione delle rughe. “I pazienti che hanno iniziato a sottoporsi a trattamento con tossina botulinica nella fascia d’età compresa tra i 30 e 50 anni” riferisce il prof. Dailey, “ottengono buoni risultati non solo tramite l’eliminazione delle rughe esistenti, ma anche grazie alla prevenzione nella formazione di nuove rughe”. Basandosi su studi precedenti, i medici consigliavano ai pazienti interessati a ridurre le rughe della regione glabellare (zona tra le sopracciglia) di ripetere il trattamento ogni 3 mesi per mantenere l’effetto, con la conseguenza che molti pazienti rinunciavano ad eseguire il trattamento a causa dell’elevato numero di trattamenti da eseguire ed il conseguente costo. Dailey ha valutato 50 donne, di età compresa tra 30 e 50 anni che si sono sottoposte ad iniezioni ripetute e regolari di Botox© per 2 anni ed ha potuto evidenziare che riducendo la frequenza dei trattamenti ad uno ogni 6 mesi si potevano mantenere effetti equiparabili.”Questo dimostra che si possono ottenere buoni risultati con programmi di trattamento più distanziati e quindi meno cari”. La tossina Botulinica è stata approvata per l’utilizzo in campo estetico circa 10 anni fa. Il trattamento può essere eseguito solo da personale medico. Grazie alla sua efficacia ed alla velocità di esecuzione, questo trattamento di medicina estetica è diventato estremamente popolare negli Stati Uniti. Basti pensare che solo per l’anno 2008 più di 5 milioni di pazienti negli Stati Uniti si è sottoposto a trattamento con Botulino, di cui 313,000 erano uomini. Referenze Bibliografiche: Oregon Health & Science University (2010, April 26). Botox reduces wrinkles even in less frequent doses.
Igiene ed Allergie
E’ l’eccessiva igiene la causa dell’aumento delle Allergie? Le allergie sono diventate molto comuni nei paesi industrializzati: i casi di allergie da fieno, eczema, orticarie e asma sono tutti in aumento. Secondo gli esperti la ragione sta nell’eccessiva igiene dell’ambiente che ci circonda. La predisposizione allo sviluppo di allergie può derivare dalla storia famigliare, dall’inquinamento atmosferico, dai processi di raffinamento dei cibi, dal fumo e da tutta un’altra serie di fattori ambientali. Tuttavia, il Dott. Delespesse, professore alla facoltà di Medicina e Direttore del Laboratorio di Ricerca in Allergie dell’Università di Montreal riporta un’associazione tra livello di igiene ed incidenza di allergie e malattie autoimmuni: maggiore la sterilità dell’ambiente, maggiori sono i rischi di sviluppare allergie o problemi di intolleranza varia. La popolazione occidentale è passata dal 10% di prevalenza di allergie nel 1980 a ben il 30% risontrato oggigiorno. Ciò che rafforza ulteriormente questi dati è il fatto che nei paesi in cui i livelli d’igiene si sono manetnuti costanti nel tempo, anche la prevalenza delle allergie si è mantenuta invariata nel tempo. Le reazioni allergiche ed altre patologie autoimmunitarie come il Diabete di tipo I e la sclerosi multipla sono l’esito di una forma di “autoattacco” del sistema immunitario verso il nostro organismo. Ma perché succede? I batteri presenti nel nostro sistema digestivo sono essenziali non solo per la digestione, ma anche per “educare” il sistema immunitario. Insegnano infatti al’organismo come reagire alle sostanze sconosciute e rimangono quindi un punto chiave nello sviluppo del sistema immunologico dei bambini. Anche se l’igiene reduce la nostra esposizione a batteri dannosi, limita anche la nostra esposizione ai microrganismi benefici, con il risultato che la nostra flora batterica intestinale si impoverisce e diventa meno diversificata. Viene meno quindi il meccanismo di “insegnamento” all’organismo rispetto a ciò che “va bene” rispetto a ciò che “va combattuto” ed aumenta il rischio di avere attivazioni del sistema immunitario verso sostanze che in realtà non dovrebbero essere interpretate dall’organismo come dannose. Il Prof. Delespesse dichiara che “Il consumo di probiotici in gravidanza può aiutare a ridurre il rischio di sviluppare reazione allergiche nell’infanzia. Anche se non si tratta di una cura miracolosa, i probiotici possono sicuramente aiutare a migliorare la qualità della dieta e lo stato di salute.”
Alzheimer: consigli per un’efficace comunicazione
Alzheimer: consigli per un’efficace comunicazione L’Alzheimer erode gradualmente le capacità di comunicazione. Qui di seguito alcuni consigli per promuovere efficacemente la comunicazione con i pazienti affetti dalla patologia. Comunicare con un caro, affetto da Morbo di Alzheimer può diventare una vera e propria sfida. Le parole espresse ed il comportamento dei malati di Alzheimer possono a volte risultarci indecifrabili e viceversa a loro può risultare incomprensibile ciò che gli viene comunicato dall’esterno. Ecco un aiuto per affrontare la situazione: Cosa aspettarsi: L’Alzheimer interferisce con il normale funzionamento delle vie di comunicazione cerebrali, rendendo difficile la comunicazione verbale sia in termini di espressione sia in termini di comprensione delle parole. Il malato di Alzheimer potrebbe sostituire una parola con un’altra di significato completamente diverso oppure attribuire un nome totalmente nuovo ad un oggetto ben conosciuto. A volte avviene una specie di “blocco ripetitivo” per cui la stessa parola o espressione viene ripetuta più e più volte. Le persone affette da Alzheimer possono anche: Usare parolacce o linguaggio offensivo Necessitare di più tempo per comprendere ciò che gli si sta dicendo Doversi sforzare notevolmente per organizzare le parole in modo logico Perdere il filo del discorso o del pensiero. Mostrare segni di aggressività e ottusità. Fatevi spiegare bene dallo specialista cosa accade nelle persone affette da morbo di Alzheimer, cosa aspettarsi e cosa si possa fare per prendersi cura al meglio della persona affetta. In questo modo sarete in grado di affrontare la situazione in modo informato e preparato. Cosa fare per massimizzare la comunicazione: Nonostante le difficoltà si può riuscire a comunicare efficacemente con le persone affette da Morbo di Alzheimer. Alcuni consigli: Non interrompere. Potrebbe volerci qualche minute perchè vi sia una risposta. Evitate di criticare, affrettare e correggere. Parlare chiaramente ed in modo diretto, evitando di esprimere frasi complicate. Semplificare.Meglio utilizzare frasi brevi e parole semplici. Se avete domande da fare è meglio porle una alla volta e con opzioni di risposta si-no.Cercare di frammentare eventuali compiti o richieste a passi semplificati. Mostrare Rispetto. Evitare di rivolgersi al paziente come fosse un bambino. Non si deve partire dal presupposto che non comprenda ciò che gli si sta dicendo e mai parlare di lui/lei in terza persona, come se non fosse presente. Mostrare interesse. Mantenere il contatto visivo e restargli vicino così che possa comprendere che state ascoltando e possa quindi sentirsi meno frustrato nel comunicarvi ciò che vi sta cercando di dire. Evitare distrazioni. La comunicazione può essere resa difficile, se non impossibile in presenza di rumori di fondo o fattori visivi di distrazione. Associate alle parole gesti o fattori visivi. A volte la gestualità e l’associazione visiva rafforzano il significato delle sole parole. Piuttosto che chiedere semplicemente se deve usare il bagno, accompagnatelo e mostrateglielo mentre ponete la domanda. Non discutete. La capacità di ragionare e giudicare deteriora nel tempo. Per evitare reazioni di rabbia e agitazione è meglio evitare di discutere. Restare calmi. Anche nei momenti di frustrazione cercate di mantenere un tono di voce pacato e tranquillo. Lo stesso tono di voce ha infatti la capacità di rafforzare la chiarezza del messaggio che state cercando di trasmettere. La comunicazione con le persone affette da morbo di Alzheimer può diventare molto difficile, soprattutto con la progressione della patologia. Ricordatevi che le difficoltà non sono mai volontarie e non insorgono per motivi personali o di ritorsione. La pazienza e la comprensione da parte delle persone circostanti sono i mezzi migliori per far sentire al sicuro la persona malata di Alzheimer che già affronta grandi insicurezze e difficoltà a causa della debilitante condizione in cui si trova. Nelle patologie come l’Alzheimer, in cui l’ assistenza da parte di chi affianca il malato implica molteplici sfaccettature e risulta spesso particolarmente complessa, si utilizza molto oggi il termine “caregiver” per definire la persona che si prende cura del paziente. Questo termine, che tradotto letteralmente significa “persona che dà cure” implica nella sua genericità proprio la complessità d’intervento che spesso viene richiesto da parte di chi si prende cura di un malato come quello affetto da Alzheimer. A volte prendersi cura di questi pazienti può diventare estremamente provante anche per le persone più pazienti e disponibili. Oggi esistono numerose associazioni di sostegno per i famigliari che assistono malati di Alzheimer ed è anche possibile ottenere supporto psicologico specializzato sia presso molte strutture specializzate nella cura dell’Alzheimer sia direttamente a casa. L’assistenza domiciliare, sia medica che psicologica portano spesso un grande aiuto al malato di Alzheimer ed a chi lo assiste in quanto l’osservazione diretta dell’ambiente dove vivono paziente e caregiver da parte di chi interviene con un piano di assistenza permette di valutare la realtà delle dinamiche famigliari in modo più completo. Inoltre, le difficili condizioni gestionali che rendono spesso inaccessibili gli interventi di supporto ai famigliari previsti presso le strutture sanitarie e gli ambulatori vengono facilitate dalla possibilità di poter ricevere aiuto senza doversi spostare da casa.
Lampade Solari: Riconfermato il rischio di Melanoma
Scritto da: Staff Medelit Un recente studio pubblicato da un gruppo di ricerca dell’Università del Minnesota conferma in via definitiva l’associazione [...]