Introduzione di Medelit:
Leggendo qua e la su internet ci è capitato di incappare in questo articolo in cui una figlia racconta la sua esperienza in prima persona nel prendersi cura di sua madre, malata terminale di tumore al pancreas e desiderosa di passare i suoi ultimi giorni di vita in casa, con la sua famiglia, piuttosto che in una stanza di ospedale. I toni “realistici”, umani ed incoraggianti dell’articolo ci hanno molto colpiti e riteniamo possano essere di aiuto a quelle numerose famiglie che stanno attraversando le stesse difficoltà.
Con il benestare della Dott.ssa Beeler abbiamo quindi pensato di tradurre e riportarvi l’articolo così come è stato pubblicato sul blog del New York Times.
L’area è ovviamente aperta a qualsiasi commento ed anzi vi invitiamo a riportare le vostre esperienze così da “tradurre” anche la realtà americana in quelle che sono le difficoltà evidenziate nel nostro paese.
Traduzione dal racconto di Linda G. Beeler, psicoterapeuta di new York, pubblicato sul blog del New York Times
” All’età di 96 anni, mia madre, sentendosi sempre più sola e isolata in Florida, si è trasferita a New York, per vivere insieme a me e alla mia famiglia nel nostro piccolo appartamento di due stanze a Manhattan. Si è stabilita nella stanza di uno dei miei figli, riempita da cimeli adolescenziali, scarpe da ginnastica, una statua gigantesca di Micheal Jordan e un poster gi Bob Marley.
Passati 3 anni, all’età di 99 anni, è stata ricoverata e le è stato diagnosticato un tumore del pancreas. Vista l’età avanzata, restava poco da fare se non rendere i suoi ultimi mesi di vita confortevoli. Il suo medico organizzò l’assistenza domiciliare tramite il servizio Calvary. Ma una parte di me voleva ricoverarla in una casa di cura.
Passo per passo, ho superato le mie paure, accettando la realtà della mia nuova situazione. Se mi volto indietro, la mia scelta è stata inevitabile – e sono contenta di aver percorso i passi di quel viaggio che mi ha cambiato la vita.
Mio marito mi incoraggiava ad affrontare le cure di mia madre in casa nostra. Pensava fosse una crudeltà ricoverarla in una casa di cura. Io pensavo “facile per lui dirlo, visto che la maggior parte delle cure ricadrà su di me”.
Mia madre a questo punto era ancora pienamente indipendente ed in grado di muoversi da sola. Camminava, seppure lentamente, fino al centro anziani del nostro isolato ed al centro della comunità ebraica dall’altro lato della strada, dove giocava a carte. Tutto questo tuttavia cessò presto, e ho dovuto ordinare una sedia a rotelle per permetterle di uscire.
Calvary mi mandava assistenza sanitaria a domicilio per 5 giorni alla settimana ed un assistente sociale. Tutto questo era di aiuto ma anche stressante. Vista la mia attività di psicoterapeuta, coordinare l’agenda era una sfida.
Mano a mano che progrediva la malattia, mia madre diventava sempre più debole fino a non riuscire più a farsi una doccia, vestirsi o andare in bagno da sola. A quel punto ho dovuto richiedere l’assistenza anche nei pomeriggi durante la settimana e per tutta la giornata durante i fine settimana. Alla fine si è resa necessaria anche l’assistenza notturna.
La mia casa era decisamente stravolta. Ma quello che mi teneva in euqilibrio era il sapere che era una condizione temporanea e che stavo dando a mia madre tutte le cure di cui necessitava e nel luogo che lei stessa aveva scelto.
I suoi giorni non hanno mancato di qualche tocco di umorismo. Una notte, l’assistenente mi chiamò nella stanza di mia madre dicendomi che lei, allora ancora nel pieno delle sue facoltà, vedeva del “fumo”. Il primo pensiero è stato quello che stesse avendo delle allucinazioni.
Mi sono seduta sul letto. Mia madre indicava il poster di Bob Marley. Mi chiese “ma quella persona famosa li sta fumando?” Aveva visto quel poster per tre anni e mai chiesto fino ad allora.
Ma un’altra notte, intorno alla 1 del mattino, mio figlio ha sentito mia madre urlare “non toccarmi”. Ha poi trovato l’assistente nell’atto di costringere mia madre a letto. L’assistente voleva dormire la notte e non voleva essere disturbato da mia madre che gli chiedeva di essere portata in bagno. Licenziai l’assistente il giorno successivo.
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